Vantaggi clinici del carico immediato

La possibilità di applicare una protesi il giorno stesso dell’inserimento implantare, attraverso il carico immediato, presenta molteplici vantaggi.

L’opportunità di avere un provvisorio fisso è ovviamente ben accetta e auspicata dai pazienti, permettendo di avere il minimo disagio durante la fase transizionale e di attesa prima del completamento della riabiltazione implanto-protesica. Spesso è proprio questa modalità che spinge il paziente ad affrontare la terapia implantare, che viceversa tenderebbe a rimandare.

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Ma anche per il clinico la gestione della terapia si semplifica sotto vari aspetti psicologici per la maggior compliance dei pazienti, meno ansiosi di concludere il loro percorso riabilitativo, ma soprattutto la maggiore facilità della gestione del provvisorio rispetto a una soluzione rimovibile che richiede una continua manutenzione per assicurare stabilità ed evitare aree di carico indiretto e soprattutto incontrollato sugli impianti in via di guarigione.
Diversi autori hanno descritto insuccessi in relazione all’applicazione di protesi ad appoggio mucoso al di sopra di impianti appena inseriti. Il protocollo, in questi casi, prevederebbe che tali protesi non vengano fatte usare al paziente per i primi 15 giorni dopo la chirurgia e successivamente vengano scartate e ribasate con resine resilienti per minimizzare appunto il carico indiretto sugli impianti.

Tutto questo oltre, al disagio per il paziente precedentemente descritto, comporta un enorme sforzo da parte del professionista per la gestione e il continuo adattamento di questo tipo di provvisorio. Al contrario un provvisorio fisso sugli impianti appena inseriti permette tra l’altro di ottenere una guarigione dei tessuti molli guidata dal provvisorio stesso e quindi arrivare al momento dell’impronta definitiva con una maggiore modellazione e definizione dei profili e delle parabole gengivali.

Nell’ambito della gestione della terapia implantare, il carico immediato ha sicuramente rappresentato una rivoluzione che ci permette oggi la sostituzione di uno o più elementi dentali con impianti e provvisorio nella stessa seduta, un’opportunità impensabile fino a pochi anni fa.
Presupposti
Affinché si possa ricorrere in maniera predicibile alla tecnica del carico immediato, si devono realizzare determinati presupposti e quindi si devono seguire determinati e specifici protocolli sia per quanto riguarda la fase chirurgica di inserimento degli impianti sia per le modalità di realizzazione della protesi.

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La condizione fondamentale affichè un impianto possa essere sottoposto a carico protesico immediatamente dopo il suo inserimento è che si raggiunga un torque di inserimento dell’impianto stesso maggiore di 35 ncm.

Il torque d’inserzione è la forza necessaria per avvitare l’impianto nell’osso e descrive quindi il grado di stabilità iniziale dell’impianto. Può essere misurato sia attraverso il physiodispenser sia attraverso apposite chiavi dinamometriche in grado di misurare, man mano che l’impianto viene inserito, la forza applicata.

Questo parametro è fondamentale in quanto consente di mantenere una sufficiente stabilità dell’impianto sottocarico anche durante le prime fasi di guarigione, prima che si ottenga la stabilità secondaria, fase durante le quali il rimodellamento osseo comporta una riduzione della superficie di contatto tra osso e impianto.

Per quanto concerne la realizzazione protesica, la condizione fondamentale è che il carico masticatorio venga ben distribuito su tutti gli impianti e che, quindi, questi siano uniti tra loro in maniera rigida. Lo splintaggio rigido degli impianti aiuta a sostenere il carico protesico e a distribuirlo equamente su tutti gi impianti inseriti.

Sì alla diga: risultati migliori e meno rischi di infezione

Non tutti gli odontoiatri hanno ancora compreso fino in fondo i vantaggi di questa tecnica che consente un corretto isolamento del campo operatorio: infatti, in Italia si utilizza ancora veramente poco e se si assume come parametro il consumo effettivo di fogli di diga l’utilizzo è di appena il 5% circa in rapporto al numero di prestazioni effettuate.

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Per questo l’Associazione Italiana Odontoiatri (AIO), insieme al Comitato Italiano di Coordinamento CIC, Accademia Italiana di Conservativa AIC, Società Italiana di Endodonzia SIE, Accademia Italiana di Endodonzia AIE, e ANDI, ha partecipato nel 2015 al Progetto Diga, programma d’aggiornamento a livello nazionale promosso dal vicepresidente CIC Augusto Malentacca, endodontista, riproponendo il suo sforzo anche nel 2016.

La parola all’esperto

Tra i primi supporter della campagna è il past President AIO Giulio Del Mastro che ha dedicato molta della sua ricerca alla comunicazione professionista-paziente. Del Mastro ricorda che già le raccomandazioni ministeriali suggeriscono di effettuare tutte le procedure di trattamento endodontico “con tecniche asettiche e con adeguato isolamento del campo operatorio, al fine di prevenire la contaminazione salivare e batterica dell’elemento dentario in trattamento”.

Perché l’obbligatorietà? «Oltre ad abbattere i tempi di lavoro, la diga riduce i rischi di contaminazione microbica, evita al paziente l’ingestione di materiali e liquidi, migliora i risultati dei trattamenti.

«La diga è in pratica un telo di gomma molto sottile che l’operatore usa, in modo analogo ad un chirurgo durante un intervento, per delimitare e isolare la zona da trattare: ad esempio, in endodonzia per rimuovere in maniera asettica la polpa dentaria e non contaminare l’ambiente con i batteri presenti nella saliva o in conservativa per eliminare il tessuto cariato e poter ricostruire il dente in modo più agevole, sicuro e predicibile nella sua durata nel tempo.

Quando isolare è fondamentale?

«Paradossalmente –continua Del Mastro– le situazioni in cui più vistosi sono i vantaggi riguardano trattamenti complessi su elementi particolarmente compromessi. Per un trattamento endodontico è fondamentale mantenere incontaminato il canale radicolare da trattare: in alcuni casi, addirittura, è necessario pre-ricostruire il dente, rimuovendo la parte cariata e realizzando un’otturazione preliminare, proprio per poter posizionare la diga e portare a termine la terapia (Prodotti odontoiatrici).

Analogo discorso – in campo odontoiatrico quasi tutti i materiali non permettono di ottenere adesione se il settore in cui si lavora ha presenza di umidità – vale per gli interventi di conservativa al confine con la protesi: sempre più oggi si tende a realizzare restauri parziali, anche indiretti, utilizzando la maggior porzione possibile di dente naturale rimasto e realizzando quella che viene comunemente definita ‘odontoiatria mininvasiva’».

«Altri motivi di ordine pratico che rendono conveniente “isolare il campo” sono:

●l’aumento dell’ampiezza di apertura del cavo orale del paziente legata all’elasticità della gomma,
●la riduzione del rischio di trasmissione crociata delle infezioni paziente – operatore – personale ausiliario legata spesso alla nebulizzazione spray dell’acqua dalle turbine;
●meno frequente ma più pericoloso, è il rischio che il paziente aspiri gli strumenti che gli sono stati inseriti in bocca o li inghiottisca: eventi drammatici al loro verificarsi, rari ma possibili, che con la diga evitiamo».

E i pazienti?

I pazienti saranno contenti? «Un lieve disagio può essere costituito dal fatto che la bocca del paziente è parzialmente ostruita durante l’intervento e in qualche caso si deve respirare con il naso, ma in realtà quasi sempre viene isolata e coperta solo la zona dove si lavora e non ci sono problemi di alcun genere; si riducono invece nel complesso i tempi operativi e migliora il risultato nell’adesione dei restauri.

Solo particolari tipi di pazienti hanno delle controindicazioni relative: chi soffre di malattie ostruttive o infezioni acute delle vie respiratorie, epilessia o handicap neuromotori.

C’è poi una minoranza di persone che ha un’idiosincrasia psicologica verso la diga: peraltro l’esperienza insegna come questi pazienti siano difficili da gestire anche per altre tipologie d’intervento e il loro rifiuto non risulti quindi diga dipendente…»

Ma che fare nel loro caso? «Premetto, a me non è mai capitato un paziente che scappa per una diga. In particolare, ripeto, non si tratta di situazioni in cui si sente dolore. Quella irrisoria percentuale di pazienti “difficili” va in primo luogo convinta che non si tratta di qualcosa che fa male; in secondo luogo occorre sottolineare che la bocca è un contenitore di microbi “perfetto”, e ridurre al minimo il rischio di infezioni da intervento consente vantaggi tangibili, a fronte di un fastidio minimo. Il paziente su cui si pratica un intervento con diga evita che il dente sul quale il dentista opera sia contaminato con la saliva che è notoriamente vettore di germi di ogni tipo (Modelli denti).