L’apparecchio fisso ortodontico: a cosa serve?

Il trattamento ortodontico complessivo, attualmente, viene effettuato con apparecchio fisso che prevede l’applicazione su tutti i denti dei bracket (attacchi che vengono posizionati sulla superficie del dente) che hanno delle informazione da trasmettere, tramite dei fili metallici dedicati, ai denti in modo da poterli muovere secondo delle direzioni prestabilite e conosciute dall’ortodontista per poter raggiungere la posizione ideale a fine trattamento.

Allineare i denti e portarli nella loro posizione ideale è fondamentale sia dal punto di vista estetico che fisiologico; una buona occlusione è importante per la masticazione, la fonazione e la deglutizione; inoltre la malocclusione può determinare disordini all’articolazione temporo-mandibolare. I denti storti per alcuni possono costituire un grave disagio che si ripercuote sulla vita relazionale.

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Spesso gli apparecchi ortodontici fissi vengono usati in una seconda fase,  dopo l’ apparecchio mobile per definire, perfezionare e portare a termine il trattamento ortodontico. Essendo formato da brackets (attacchi), fili metallici, tubi o bande sui molari, elastici, l’apparecchio ortodontico fisso complica le normali manovre di igiene orale, aumentando la difficoltà a rimuovere la placca batterica e rendendo complicato l’uso del filo interdentale. È consigliato quindi l’uso di spazzolini specifici durante il trattamento ortodontico e l’uso dell’idropulsore che tramite il getto d’acqua riesce a togliere buona parte dei residui di cibo e infine è raccomandato l’uso di collutori per migliorare l’igiene orale.

Durante il trattamento ortodontico fisso l’ortodontista consiglia di evitare cibi duri e impegnativi da masticare, cibi gommosi e zuccherati, caramelle e gomme americane, masticare matite o oggetti simili.

Durante i primi 3-4 giorni in seguito all’applicazione dell’apparecchio fisso e ogni qual volta saranno cambiati i fili il paziente potrebbe avvertire fastidio oppure alcuni denti possono essere sensibili alla pressione; tutto ciò è normale ed è dovuto alla tensione che farà il filo sui denti per permettere gli spostamenti, il fastidio si risolverà comunque nel giro di 4-5 giorni.

Apparecchi Ortodontici Fissi Con Attacchi In Ceramica

Uno degli svantaggi principali degli apparecchi ortodontici fissi con attacchi metallici è il loro inestetismo. Con il passare degli anni si è cercato di trovare delle soluzioni per superare questo problema. Inizialmente erano stati creati degli attacchi e dei fili rivestiti in plastica, ma essi non erano adatti all’ambiente orale poiché si alteravano e cambiavano colore. Oggi con gli attacchi in ceramica si sono superati sia i difetti meccanici degli attacchi in plastica e nello stesso tempo anche i difetti estetici degli attacchi in metallo.

Apparecchio Fisso Interno O Apparecchio Ortodontico Linguale

L’ortodonzia linguale è una tecnica ortodontica che cerca di superare lo svantaggio estetico dell’ortodonzia fissa classica; in essa infatti, gli attacchi ortodontici vengono inseriti sul lato interno del dente, rivolti cioè verso la lingua, da qui il nome di ortodonzia linguale. Inizialmente i pazienti possono avere fastidi, difficoltà nella deglutizione, fonazione e disturbi alla lingua, ma in pochi giorni il paziente si abitua facilmente a convivere con questo tipo di apparecchio. Lo svantaggio principale di questo trattamento è che non sempre è compatibile e applicabile ai vari casi clinici (Apparecchio ortodontico).

L’Ortodonzia Invisibile E L’Apparecchio Trasparente

L’apparecchio ortodontico invisibile è formato da sottili mascherine in polimero trasparente con cui si possono allineare i denti senza danneggiare l’estetica e il sorriso del paziente. Tramite una serie di mascherine, che dovranno essere indossate dal paziente 24 ore su 24, sarà possibile ottenere spostamenti dentali seguendo una sequenza precisa e stabilita dal computer, per giungere ad una occlusione finale programmata.

Anche in questo caso, come per l’ortodonzia linguale, vi sono però dei casi clinici che non possono essere trattati con questo tipo di apparecchiatura ortodontica.

L’Apparecchio Mobile

Gli apparecchi mobili ortodontici presentano rispetto ai fissi dei vantaggi, cioè possono essere rimossi dal paziente in determinate occasioni per evitare il disagio estetico, vengono costruite in laboratorio riducendo i tempi di lavoro dell’ortodontista nella bocca del paziente e infine permettono di guidare la crescita delle basi ossee in maniera più efficace rispetto agli apparecchi fissi.

Anche essi però presentano degli svantaggi, ad esempio la loro azione è affidata totalmente alla collaborazione del paziente, e inoltre non possono essere effettuati determinati spostamenti dentari che è possibile effettuare solo con gli apparecchi fissi.

In conclusione si può affermare che gli apparecchi rimovibili possono essere usati con successo nella prima fase del trattamento, ma esso dovrà essere completato e perfezionato dagli app (Modelli denti).

Vantaggi clinici del carico immediato

La possibilità di applicare una protesi il giorno stesso dell’inserimento implantare, attraverso il carico immediato, presenta molteplici vantaggi.

L’opportunità di avere un provvisorio fisso è ovviamente ben accetta e auspicata dai pazienti, permettendo di avere il minimo disagio durante la fase transizionale e di attesa prima del completamento della riabiltazione implanto-protesica. Spesso è proprio questa modalità che spinge il paziente ad affrontare la terapia implantare, che viceversa tenderebbe a rimandare.

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Ma anche per il clinico la gestione della terapia si semplifica sotto vari aspetti psicologici per la maggior compliance dei pazienti, meno ansiosi di concludere il loro percorso riabilitativo, ma soprattutto la maggiore facilità della gestione del provvisorio rispetto a una soluzione rimovibile che richiede una continua manutenzione per assicurare stabilità ed evitare aree di carico indiretto e soprattutto incontrollato sugli impianti in via di guarigione.
Diversi autori hanno descritto insuccessi in relazione all’applicazione di protesi ad appoggio mucoso al di sopra di impianti appena inseriti. Il protocollo, in questi casi, prevederebbe che tali protesi non vengano fatte usare al paziente per i primi 15 giorni dopo la chirurgia e successivamente vengano scartate e ribasate con resine resilienti per minimizzare appunto il carico indiretto sugli impianti.

Tutto questo oltre, al disagio per il paziente precedentemente descritto, comporta un enorme sforzo da parte del professionista per la gestione e il continuo adattamento di questo tipo di provvisorio. Al contrario un provvisorio fisso sugli impianti appena inseriti permette tra l’altro di ottenere una guarigione dei tessuti molli guidata dal provvisorio stesso e quindi arrivare al momento dell’impronta definitiva con una maggiore modellazione e definizione dei profili e delle parabole gengivali.

Nell’ambito della gestione della terapia implantare, il carico immediato ha sicuramente rappresentato una rivoluzione che ci permette oggi la sostituzione di uno o più elementi dentali con impianti e provvisorio nella stessa seduta, un’opportunità impensabile fino a pochi anni fa.
Presupposti
Affinché si possa ricorrere in maniera predicibile alla tecnica del carico immediato, si devono realizzare determinati presupposti e quindi si devono seguire determinati e specifici protocolli sia per quanto riguarda la fase chirurgica di inserimento degli impianti sia per le modalità di realizzazione della protesi.

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La condizione fondamentale affichè un impianto possa essere sottoposto a carico protesico immediatamente dopo il suo inserimento è che si raggiunga un torque di inserimento dell’impianto stesso maggiore di 35 ncm.

Il torque d’inserzione è la forza necessaria per avvitare l’impianto nell’osso e descrive quindi il grado di stabilità iniziale dell’impianto. Può essere misurato sia attraverso il physiodispenser sia attraverso apposite chiavi dinamometriche in grado di misurare, man mano che l’impianto viene inserito, la forza applicata.

Questo parametro è fondamentale in quanto consente di mantenere una sufficiente stabilità dell’impianto sottocarico anche durante le prime fasi di guarigione, prima che si ottenga la stabilità secondaria, fase durante le quali il rimodellamento osseo comporta una riduzione della superficie di contatto tra osso e impianto.

Per quanto concerne la realizzazione protesica, la condizione fondamentale è che il carico masticatorio venga ben distribuito su tutti gli impianti e che, quindi, questi siano uniti tra loro in maniera rigida. Lo splintaggio rigido degli impianti aiuta a sostenere il carico protesico e a distribuirlo equamente su tutti gi impianti inseriti.

Sì alla diga: risultati migliori e meno rischi di infezione

Non tutti gli odontoiatri hanno ancora compreso fino in fondo i vantaggi di questa tecnica che consente un corretto isolamento del campo operatorio: infatti, in Italia si utilizza ancora veramente poco e se si assume come parametro il consumo effettivo di fogli di diga l’utilizzo è di appena il 5% circa in rapporto al numero di prestazioni effettuate.

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Per questo l’Associazione Italiana Odontoiatri (AIO), insieme al Comitato Italiano di Coordinamento CIC, Accademia Italiana di Conservativa AIC, Società Italiana di Endodonzia SIE, Accademia Italiana di Endodonzia AIE, e ANDI, ha partecipato nel 2015 al Progetto Diga, programma d’aggiornamento a livello nazionale promosso dal vicepresidente CIC Augusto Malentacca, endodontista, riproponendo il suo sforzo anche nel 2016.

La parola all’esperto

Tra i primi supporter della campagna è il past President AIO Giulio Del Mastro che ha dedicato molta della sua ricerca alla comunicazione professionista-paziente. Del Mastro ricorda che già le raccomandazioni ministeriali suggeriscono di effettuare tutte le procedure di trattamento endodontico “con tecniche asettiche e con adeguato isolamento del campo operatorio, al fine di prevenire la contaminazione salivare e batterica dell’elemento dentario in trattamento”.

Perché l’obbligatorietà? «Oltre ad abbattere i tempi di lavoro, la diga riduce i rischi di contaminazione microbica, evita al paziente l’ingestione di materiali e liquidi, migliora i risultati dei trattamenti.

«La diga è in pratica un telo di gomma molto sottile che l’operatore usa, in modo analogo ad un chirurgo durante un intervento, per delimitare e isolare la zona da trattare: ad esempio, in endodonzia per rimuovere in maniera asettica la polpa dentaria e non contaminare l’ambiente con i batteri presenti nella saliva o in conservativa per eliminare il tessuto cariato e poter ricostruire il dente in modo più agevole, sicuro e predicibile nella sua durata nel tempo.

Quando isolare è fondamentale?

«Paradossalmente –continua Del Mastro– le situazioni in cui più vistosi sono i vantaggi riguardano trattamenti complessi su elementi particolarmente compromessi. Per un trattamento endodontico è fondamentale mantenere incontaminato il canale radicolare da trattare: in alcuni casi, addirittura, è necessario pre-ricostruire il dente, rimuovendo la parte cariata e realizzando un’otturazione preliminare, proprio per poter posizionare la diga e portare a termine la terapia (Prodotti odontoiatrici).

Analogo discorso – in campo odontoiatrico quasi tutti i materiali non permettono di ottenere adesione se il settore in cui si lavora ha presenza di umidità – vale per gli interventi di conservativa al confine con la protesi: sempre più oggi si tende a realizzare restauri parziali, anche indiretti, utilizzando la maggior porzione possibile di dente naturale rimasto e realizzando quella che viene comunemente definita ‘odontoiatria mininvasiva’».

«Altri motivi di ordine pratico che rendono conveniente “isolare il campo” sono:

●l’aumento dell’ampiezza di apertura del cavo orale del paziente legata all’elasticità della gomma,
●la riduzione del rischio di trasmissione crociata delle infezioni paziente – operatore – personale ausiliario legata spesso alla nebulizzazione spray dell’acqua dalle turbine;
●meno frequente ma più pericoloso, è il rischio che il paziente aspiri gli strumenti che gli sono stati inseriti in bocca o li inghiottisca: eventi drammatici al loro verificarsi, rari ma possibili, che con la diga evitiamo».

E i pazienti?

I pazienti saranno contenti? «Un lieve disagio può essere costituito dal fatto che la bocca del paziente è parzialmente ostruita durante l’intervento e in qualche caso si deve respirare con il naso, ma in realtà quasi sempre viene isolata e coperta solo la zona dove si lavora e non ci sono problemi di alcun genere; si riducono invece nel complesso i tempi operativi e migliora il risultato nell’adesione dei restauri.

Solo particolari tipi di pazienti hanno delle controindicazioni relative: chi soffre di malattie ostruttive o infezioni acute delle vie respiratorie, epilessia o handicap neuromotori.

C’è poi una minoranza di persone che ha un’idiosincrasia psicologica verso la diga: peraltro l’esperienza insegna come questi pazienti siano difficili da gestire anche per altre tipologie d’intervento e il loro rifiuto non risulti quindi diga dipendente…»

Ma che fare nel loro caso? «Premetto, a me non è mai capitato un paziente che scappa per una diga. In particolare, ripeto, non si tratta di situazioni in cui si sente dolore. Quella irrisoria percentuale di pazienti “difficili” va in primo luogo convinta che non si tratta di qualcosa che fa male; in secondo luogo occorre sottolineare che la bocca è un contenitore di microbi “perfetto”, e ridurre al minimo il rischio di infezioni da intervento consente vantaggi tangibili, a fronte di un fastidio minimo. Il paziente su cui si pratica un intervento con diga evita che il dente sul quale il dentista opera sia contaminato con la saliva che è notoriamente vettore di germi di ogni tipo (Modelli denti).

Afte orali: un incendio in bocca

Come riconoscerle? Le afte orali sono piccole ulcerazioni dolorose che appaiono nella mucosa della cavità orale e generalmente hanno l’aspetto di una macchie biancastre circondate da un’areola rossa. È comune che si formino sui tessuti molli e in particolare all’interno del labbro o della guancia, sulla lingua, sul palato e più raramente, nella gola.

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Le più piccole e lievi normalmente appaiono in gruppi, iniziando a scomparire dopo una decina di giorni senza trattamento e non lasciano alcuna conseguenza. Le ulcere aftose severe sono invece meno comuni, necessitano di cure appropriate e possono lasciare cicatrici più o meno visibili.

Quali tipologie?

Non si conosce con precisione l’origine delle ulcere orali.

Possono essere provocate da lesioni, infezioni, stress, determinati alimenti, predisposizione genetica e soprattutto nelle donne, cambiamenti ormonali. Si classificano in 3 tipologie principali:

Afte primarie: l’agente scatenante si trova in bocca. Per esempio, medicine mantenute a lungo nella cavità orale, esposizione a radiazioni, antisettici orali, caramelle e gomma di masticare, sbalzi climatici, alimenti, virus e batteri.

Afte secondarie: appaiono in seguito a reazioni tossiche o allergiche, malattie del sangue o carenze vitaminiche.

Stomatite aftosa ricorrente: È associata a scompensi emozionali e ad un eccessivo stress, benché la sua causa reale sia ancora ignorata. Può apparire a qualunque età, è più frequente nelle donne e manifesta una certa predisposizione ereditaria. Richiede un trattamento specifico che molte volte risulta inefficace.

È importante inoltre saper distinguere tra semplici afte primarie e ulcere orali traumatiche provocate da frammenti dentali in brutta posizione, bordi taglienti di denti cariati, protesi deteriorate e scomposte che producono costante ulcerazione della mucosa, rischiando di causare gravi danni a lungo termine.

La diagnosi professionale

Si tratta di una patologia piuttosto diffusa che non presenta generalmente complicazioni oltre al fastidio percepito, per questo molte persone optano per lasciare che il processo segua il suo corso naturale, limitandosi ad utilizzare palliativi per alleviare il dolore. L’intervento del dentista di fiducia è tuttavia richiesto in determinati casi:

●Se le afte non scompaiono entro qualche giorno dall’applicazione di appositi farmaci;
●Se le afte non spariscono dopo 14 giorni;
●Se sono molto dolorose o particolarmente ricorrenti.
Ovviamente il trattamento dipende dalla causa e la causa deve essere investigata dallo specialista, attraverso esami approfonditi. Ci riferiamo in particolare alle afte secondarie, che per definizione derivano da patologie primarie.

Nel caso delle afte recidive, l’odontoiatra potrà prescrivere delle analisi del sangue complete per scartare anemie e un esame parassitologico delle feci, al fine di escludere parassitosi intestinali. Importantissimo è anche indagare le abitudini alimentari in quanto la presenza di afte ricorrenti potrebbe essere un chiaro segnale di celiachia.

Prevenire e alleviare il dolore

Non esiste al momento una cura definitiva per le afte, poiché possono tornare con una certa frequenza nei soggetti predisposti. Esistono tuttavia alcune precauzioni generali utili per la prevenzione come per alleviare la sensazione di dolore:

●Un’adeguata igiene orale, non aggressiva;
●Una dieta ricca di alimenti morbidi o non troppo duri da masticare, e soprattutto non troppo freddi. Anche gli alimenti piccanti o troppo caldi dovrebbero essere evitati in quanto accentuano il dolore;
●Evitare le lesioni delle mucose della bocca masticando lentamente, per non mordere l’interno di labbra e guance;
●Usare collutori con una formula appositamente studiata per alleviare il dolore.

Sistema perimplantare: il tessuto epiteliale perimplantare

Il sistema perimplantare è costituito da mucosa perimplantare, osso alveolare e dalla superficie dell’impianto.

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La gengiva, da un punto di vista istologico, sul versante orale e sulculare presenta un epitelio di rivestimento cheratinizzato che si collega all’epitelio giunzionale liscio rivolto verso la corona del dente, terminando a livello della giunzione amelo-cementizia. Il tessuto connettivo sopra alveolare ha uno spessore di circa 3-4 mm e presenta nella sua compagine diversi fasci di fibre collagene:

– fibre dentogengivali che dalla porzione sopralveolare del cemento radicolare si aprono a ventaglio entro la gengiva libera;
– fibre dentoperiostali che dalla porzione sopralveolare del cemento radicolare decorrono parallele e terminano nella gengiva aderente;
– fibre circolari che decorrono orizzontalmente circondando il colletto del dente;
– fibre transettali che connettono il cemento sopralveolare di due denti adiacenti.

Il legamento parodontale presenta invece uno spessore di 0,2-0,3 mm, e in esso si distinguono le fibre della cresta alveolare, le fibre orizzontali, oblique e apicali.

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La gengiva orale perimplantare appare clinicamente simile alla normale gengiva. Infatti, la superficie esterna della mucosa perimplantare è rivestita da epitelio orale pluristratificato e ben cheratinizzato che si collega all’epitelio sulculare, che successivamente a livello apicale diviene epitelio giunzionale: ciò rappresenta quella barriera epiteliale strettamente adesa alla superficie dell’impianto. Il tessuto epiteliale perimplantare è, fra i tessuti molli vicini all’impianto, quello più simile al corrispondente tessuto dentale. Infatti, l’epitelio giunzionale rappresenta la versione non cheratinizzata dell’epitelio buccale, così come avviene nei tessuti peri-dentali.

La barriera epiteliale, così come l’epitelio giunzionale parodontale, presenta pochi strati cellulari che si estendono per 2 mm in senso apicale. Questo epitelio giunzionale aderisce direttamente all’impianto tramite emidesmosomi. È interessante rimarcare la similitudine fra l’epitelio giunzionale dentale e quello implantare. È probabile infatti che la guarigione epiteliale sia un fenomeno indipendente della presenza dei tessuti dentari e pertanto un tentativo dell’organismo di creare una prima struttura di adesione alle conformazioni che possiedono caratteristiche sia intra che extra-corporee, come i denti e l’impianto.

Sistema perimplantare: il tessuto connettivale perimplantare

Il tessuto connettivo perimplantare, in contatto diretto con il biossido di titanio, si estende per uno spessore di 1-1,5 mm dal limite apicale della barriera epiteliale e la cresta ossea alveolare.

Al suo interno le fibre collagene originano dal periostio crestale e si estendono fino alla mucosa marginale, decorrendo parallelamente all’impianto.

Il connettivo perimplantare risulta formato da fibre collagene (70%), fibroblasti (20%), vasi sanguigni (5%) e matrice connettivale, ed è situato subito al di sotto, ossia più apicalmente, dell’epitelio giunzionale. Le fibre collagene, essendo assente il cemento radicolare, decorrono dalla cresta alveolare quasi parallelamente all’asse lungo dell’impianto.

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È possibile distinguere due vere e proprie zone connettivali con caratteristiche differenti: la zona più interna, vicina all’impianto, e una zona esterna più abbondante.

La zona più interna dell’attacco connettivale presenta caratteristiche di un tessuto connettivo cicatriziale ricco di fibre collagene, ma povero di cellule e ha uno spessore di circa 40 µm. La zona di connettivo in intimo contatto con il biossido di titanio è caratterizzata dall’assenza di strutture vascolari e fibre collagene disposte parallelamente all’asse lungo dell’impianto. Non si repertano fibre circolari che circondano l’impianto. Gli abbondanti fibroblasti appaiono interposti tra le fibre collagene, orientati con l’asse lungo parallelo alle fibre collagene e all’impianto stesso.

La porzione più esterna di tessuto connettivo è più rappresentativa (circa 160 µm) e presenta una maggior quantità di fibre collagene, mentre i fibroblasti sono meno rappresentati (circa un terzo rispetto alla zona più vicina all’impianto). A questo livello, è maggiore inoltre la componente vascolare.

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La relativa scarsità di cellule a livello dell’attacco connettivale perimplantare, rispetto al connettivo parodontale, potrebbe indicare una ridotta velocità di turnover rispetto a quello della gengiva. Infatti è stato osservato come il tessuto connettivo perimplantare presenti analogie con il tessuto cicatriziale, possedendo infatti un’elevata densità di fibre collagene, mentre cellule e strutture vascolari risultano poco rappresentate. Perciò il potenziale rigenerativo del connettivo perimplanatare è da ritenersi modesto.

La vascolarizzazione del tessuto connettivale nel parodonto umano è determinata sia da vasi che provengono dall’osso alveolare che da vasi provenienti dal legamento parodontale. Al contrario nei tessuti perimplantari la vascolarizzazione proviene dai rami terminali di vasi più grossi che decorrono nel periostio che ricopre l’osso alveolare. Al di sotto del tessuto epiteliale giunzionale sia ha, sia negli impianti che nei denti, un vero e proprio “plesso crevicolare”. Più apicalmente è invece possibile notare una differenza significativa fra impianti ed elementi dentari: se intorno al cemento radicolare è possibile osservare una vascolarizzazione ricca e abbondante, intorno agli impianti si ha invece un’area quasi del tutto priva di vascolarizzazione.